Nebbiolo, la regina delle uve nere
Principe dei vitigni piemontesi, e uno dei più antichi e nobili del patrimonio ampelografico del nostro Paese (le prime tracce risalirebbero alla seconda metà del Duecento), il Nebbiolo lega il suo nome alla nebbia, secondo alcuni per la presenza di pruina sui suoi acini e secondo altri perché la maturazione tardiva dell’uva sposta la vendemmia nel periodo delle prime nebbie autunnali.
Conosciuto anche come la “regina delle uve nere”, il Nebbiolo è un vitigno molto esigente, con un ciclo vegetativo e di maturazione molto lungo: è la prima vite a germogliare ma è l’ultima che lascia cadere le sue foglie. La sua uva, dagli acini molto fitti e piccoli, è molto sensibile alle differenze di terreno e clima: si avvantaggia delle oscillazioni tra giorno e notte in fase di maturazione ma la ricchezza di tannini della sua buccia richiede posizioni collinari ben esposte al sole, preferibilmente sud o sud-ovest, fra i 200 e i 450 m., al riparo dalle gelate e dal freddo di primavera.
Vitigno da terroir per antonomasia, il Nebbiolo è conosciuto in tutto il mondo per la produzione di vini rossi di grande complessità, fini ed eleganti che necessitano di un lungo invecchiamento per raggiungere quelle caratteristiche che li hanno resi così famosi.
Una cultivar che identificandosi con il territorio in cui viene prodotta ne diventa ambasciatrice, evocandone non solo la produzione vinicola ma anche il patrimonio culturale, storico e paesaggistico.
Proprio per questo motivo abbiamo deciso di dedicare al Nebbiolo il nostro nuovo progetto, tramite cui raccontare il mondo variegato di questo vino, in gran parte ancora sconosciuto
Le espressioni più famose di Nebbiolo
Nella zona delle Langhe sono quattro le sottovarietà coltivate di Nebbiolo presenti nel Registro Nazionale delle Varietà di Vite: Lampia, Michet, Rosé e la più recente Nebbiolo del Bolla, il cui nome deriva da quello di Sebastiano Bolla, agricoltore di La Morra che negli anni Sessanta avendo osservato qualche ceppo di uva molto più produttivo, ne raccolse i tralci per costituirne un piccolo vigneto. La fertilità di questo Nebbiolo fece sì che si diffondesse tra i viticoltori salvo poi accorgersi che la quantità della resa andava a discapito della qualità, motivo per cui queste uve non sono ammesse nello statuto del Consorzio Tutela Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani.
Ma la coltivazione del Nebbiolo non si limita alla zona delle Langhe, dove la “regina delle uve nere” dà vita a due dei più importanti e pregiati vini al mondo: il Barolo e il Barbaresco. In Piemonte sono molteplici le aree dove questo vitigno assume sfumature ed espressioni diverse, di cui vi raccontiamo le più famose:
Carema
Al confine con la Valle d’Aosta, dalle uve di Nebbiolo coltivate sulle pendici del monte Maletto, tra i 350 e i 700 metri di altitudine, nasce il Carema. Il duro lavoro di terrazzamento a secco in questa area a nord del canavese ha radici antiche, e il rosso potente ottenuto da uve Nebbiolo in purezza ha riscosso nel corso dei secoli diversi importanti riconoscimenti. Il bottigliere di Papa Paolo III Farnese, autore di una guida enologica datata 1539, lo definì infatti «un’ottima e perfetta bevanda da Principi e Signori», mentre il trattato De Vinis Italiae del XVI secolo menzionava il Carema come vino servito alla mensa dei Papi e dei Duchi di Savoia e come “vin d’arrosto” per i reali di Francia.
«Forte e simpatico come un gusto di sole e di roccia», per citare Mario Soldati, questo vino rosso rubino, che dal 1967 si fregia della Denominazione di Origine Controllata, si declina in Carema, con un invecchiamento minimo di 2 anni (di cui 12 mesi in botti grandi di rovere o castagno) e Carema Riserva con invecchiamento di 3 anni (di cui 18 mesi in grandi botti). Con il suo profumo fine e caratteristico che ricorda la rosa macerata e il suo sapore morbido, vellutato e corposo, il Carema è particolarmente indicato con arrosti, selvaggina, carni rosse, formaggi stagionati non piccanti o come vino da “caminetto”.
Gattinara
Nel comune di Gattinara, in provincia di Vercelli, le uve di Nebbiolo hanno trovato uno straordinario luogo di elezione da cui nasce l’omonimo vino (riconosciuto come DOC nel 1967 e DOCG nel 1990), i cui vigneti furono impiantati dai Romani nel II secolo a.C. Noto fin dal Cinquecento presso la corte imperiale di Carlo V e nei secoli dopo presso i Savoia, il Gattinara rappresenta secondo alcuni la più articolata e completa espressione del Nebbiolo della parte settentrionale del Piemonte. Il microclima particolare di questa zona collinare ai piedi delle Alpi e la matrice vulcanica del suolo (ricco di porfido e sostanze minerali particolarmente saline, con frequenti inserti ferrosi) creano una combinazione di fattori unica che imprimono a questo vino un carattere deciso, uno spessore e un’identità profonda. Prodotto con almeno il 90% di Nebbiolo (localmente chiamato Spanna) e al massimo il 10% di Vespolina e Uva rara, il Gattinara affina per ben 35 mesi (di cui almeno 24 in botti di rovere) per i vini di annata e 47 mesi per la riserva (di cui 36 mesi in legno), rappresentando di fatto uno dei grandi vini da invecchiamento italiani, con una longevità paragonabile a quella di Brunello e Barolo.
Di colore rosso granato intenso, al naso si rivela fine e gradevole, con ampie sensazioni di violetta, confetture rosse, spezie e cuoio, mentre in bocca è asciutto, armonico e con un fondo amarognolo. Un vino elegante e dal carattere intenso da sorseggiare in accompagnamento a primi con ragù di carne, formaggi a pasta dura e selvaggina.
Ghemme
Storico vino del Piemonte, il Ghemme è prodotto sui rilievi collinari dei comuni di Ghemme e Romagnano Sesia, in provincia di Novara.
Già apprezzato nel Quattrocento presso la corte dei Visconti e degli Sforza di Milano e celebrato da Fogazzaro nel suo romanzo Piccolo mondo antico, questo nobile vino, riconosciuto come DOGC nel 1997, viene spesso descritto come un Gattinara più denso, più scuro e più irruento. La sua complessità e la sua ricca gamma di aromi e sapori, che lo rendono unico, derivano dalla composizione del terreno, argilloso e tufaceo nella superficie e ricco di sali minerali. Vino di grande struttura ed eleganza, Ghemme, come da disciplinare, è prodotto con Nebbiolo (minimo 85%), Vespolina e Uva rara (da sole o congiuntamente per un massimo del 15%) e invecchia almeno 34 mesi (di cui 18 in legno), con la riserva richiede un affinamento di 46 mesi.
Rosso rubino con riflessi granato alla vista, Ghemme al naso risulta intenso e persistente, con sentori di frutta matura, spezie e tabacco, mentre al palato è asciutto e sapido, con tannini ben presenti e una buona acidità. L’abbinamento ideale per primi piatti e piatti di carne importanti come arrosti, brasati e stufati.
Prunent
Territorio di frontiera, la Val d’Ossola, situata nella parte settentrionale del Piemonte al confine con la Svizzera, è la culla del Prunent, clone autoctono del Nebbiolo la cui presenza in quest’area è accertata sin dal 1309. Questo vitigno a bacca nera è stato lentamente abbandonato verso la fine dell’Ottocento a causa della filossera, che costrinse i viticoltori a usare delle barbatelle innestate; nel corso dei decenni successivi le vecchie piante di Prunent vennero via via sostituite con altri vitigni più produttivi, rischiando così di scomparire. Fortunatamente alcuni ceppi delle ultracentenarie viti a piede franco sono sopravvissuti alla filossera consentendo il recupero del vitigno, grazie anche a un progetto promosso negli anni Novanta dall’Associazione produttori agricoli ossolani.
Storicamente coltivato sulle colline soleggiate di Domodossola, Villadossola, Trontano, Masera e Montecrestese, il Prunent necessita di un terreno non umido e di una buona esposizione al sole per dare origine a un vino dal colore rosso rubino, corposo e tannico che regala al naso note minerali con punte di cuoio e tabacco a cui si aggiungono sensazioni di prugna e ciliegia. Un rosso elegante, deciso e ben strutturato che si abbina perfettamente a risotti, selvaggina e formaggi saporiti.
Roero
Riconosciuto come DOCG dal 2004, il Roero, per definirsi tale come da disciplinare, deve essere prodotto all’interno dei 19 comuni della provincia di Cuneo situati sulla riva sinistra del fiume Tanaro. Le uve devono essere almeno per il 95% Nebbiolo, a cui si può aggiungere fino a un massimo del 5% di uve provenienti a bacca rossa non aromatici idonei alla coltivazione nella regione Piemonte, anche se oggi nella quasi totalità dei casi si tratta di vini 100% Nebbiolo.
Invecchiato 20 mesi in botti di legno (32 mesi per il Roero Riserva), questo vino presenta caratteristiche leggermente diverse a second della zona di produzione a causa della varietà dei suoli. Il terreno di questa area, dichiarata nel 2014 patrimonio Unesco, è di origine marina e risulta molto sabbioso, conferendo al Roero una tannicità moderata e interessanti note aromatiche che al naso rivelano profumi di frutti e fiori rossi, con accenni di spezie, aghi di pino, ciliegia, lampone, mentre al palato il sapore è asciutto, corposo e vellutato e con una buona persistenza.
Un vino versatile che ben si sposa con piatti e tipicità regionali piemontesi come carni bianche e saporite, pasta ripiena di carne e risotti.
Il Nebbiolo fuori dal Piemonte
Pur essendo il principe dei vitigni piemontesi, il Nebbiolo viene coltivato anche al di là dei confini del Piemonte.
Nella vicina Valle d’Aosta, in particolare, con le uve di Picotendro, clone locale del Nebbiolo, sulle coste rocciose dei comuni di Donnas, Pont-Saint-Martin, Perloz e Bard si produce il Donnas, da molti definito “il fratello montano del Barolo”. Un vino secco, vellutato e armonico, con fondo ingentilito da una persistente nota tannica.
Nella stessa regione, nel territorio di Arnad e nei comuni limitrofi (Hône, Verrès, Issogne, Challand-Saint-Victor, Champdepraz, Montjovet), si produce invece l’Arnad-Montjovet, vino con un blend composto da Nebbiolo (85%), Dolcetto, Pinot Nero, Neyret, Freisa e Vien de Nus (max 30%); un rosso dal sapore asciutto e caratterizzato da sensazioni di cuoio e di terra, che ricordano alcuni sentori dei vini prestigiosi delle Prealpi piemontesi.
Spostandoci in Lombardia, la zona per eccellenza di coltivazione del Nebbiolo (localmente chiamato Chiavennasca) è la Valtellina, dove questo vitigno si esprime con sfumature differenti a seconda dei microclimi.
In quest’area vengono prodotti in particolare due DOCG – Valtellina Superiore e Sforzato di Valtellina –, una DOC, Rosso di Valtellina, e un IGT, Alpi Retiche.
Il Rosso di Valtellina è il vino più giovane che unisce al carattere e all’espressione tipica del Nebbiolo, doti di particolare vivacità e freschezza. Il Valtellina Superiore (suddiviso in Maroggia, Sassella, Grumello, Inferno, Valgella) è prodotto dai vigneti meglio esposti tra il comune di Buglio in Monte e Tirano. La massima espressione dei differenti terroir della zona, un vino che raccoglie profondità, una traccia austera e tannica, senza perdere finezza e sottigliezza tipiche. Lo Sforzato di Valtellina è ottenuto dall’appassimento delle uve Nebbiolo selezionate con scrupolo, ed è il primo passito rosso secco in Italia ad essere avvalorato dalla DOCG dal 2003. Un vino icona del territorio e della sua cultura vinicola.
Con la denominazione Alpi Retiche si raggruppano invece i vini (una quantità minima rispetto ai Valtellina classici) bianchi e rossi, rosati, anche frizzanti, passiti e da vendemmia tardiva, Spumante Metodo Classico anche nella tipologia Rosé, ottenuti da altri vitigni ammessi o da tecniche produttive differenti.
Alcune curiosità
In Valle d'Aosta il vino Clairetz veniva tradizionalmente prodotto con una percentuale di Nebbiolo;
a Villarbasse (TO), sulla Collina Morenica di Rivoli, tra Reano e Rivalta l'azienda Prever (ri)produce Nebbiolo, vitigno già menzionato come uva del luogo in un documento datato 1266;
presente ancora nell'Eugubino (Gubbio – PG), il Nebbiolo sarebbe stato introdotto in Umbria da Ufficiali del Regno dei Savoia nel periodo dell'Unità d'Italia per arricchire l'offerta ampelografica del territorio;
nei comuni di Angera, Albizzate e Azzate, in provincia di Varese, si coltiva Nebbiolo;
l'uvaggio del vino Terre di Franciacorta prevede la possibilità di usare il 10% di uva Nebbiolo (oltre a: 40% Cabernet Franc e Cabernet Sauvignon – 40% Merlot – 10% Barbera d'Asti);
in Val Camonica, a Erbanno (BS), la cantina Togni Rebaioli coltiva il Nebbiolo, a suo tempo piantato dal nonno dell'attuale titolare;
in Argentina, secondo Wine Enthusiast, il Nebbiolo sarebbe stato importato tra il XIX e XX secolo dagli immigrati italiani che andavano a cercare una vita migliore in Sud America, compresi tanti piemontesi;
in Australia secondo Sometimes Always è piantato tra Adelaide Hills, Yarra Valley, Margaret River e in parti di ACT e Queensland;
il Nebbiolo negli Stati Uniti è individuato dal Corriere della Sera nel 2020 tra California, Virginia e New Mexico, oltre che in Messico. Tra i produttori "l'ex scienziato della bomba atomica John Balagna", ma primeggia Luca Paschina, enologo di Alba oggi General Manager di Barbourisville Vineyards.